Ci sono 277 pagine nel libro Ebano di Ryszard Kapuściński, nemmeno tante. Ma il tempo che ci ho messo a leggerlo…penso che La Repubblica di Platone me ne abbia richiesto meno. La ragione è semplice: Ebano non è un libro. Ebano è un’esplorazione che ti conduce dritto al cuore dell’Africa. E un’esplorazione, si sa, richiede tempo.
Amo leggere Kapuściński, mi stimola la mente. Questa volta mi ha acceso i sensi. E tutto è partito dall’immensa pianura del Serengeti:
“Ovunque si guardi, mandrie oceaniche di zebre, antilopi, giraffe e bufali intenti a pascolare, a saltabeccare, a ruzzare, a galoppare. Proprio accanto alla strada, alcuni leoni immobili; un po’ oltre, un branco di elefanti; più oltre ancora, sulla linea dell’orizzonte, un ghepardo che sfreccia a grandi salti. Uno spettacolo incredibile, inaudito: come assistere alla creazione dell’universo nel momento in cui già esistono cielo, terra, acqua, piante e animali selvatici, ma non ancora Adamo ed Eva. In questo posti si riesce a vedere un mondo appena nato, un mondo senza l’uomo e quindi senza peccato: un’esperienza assolutamente grandiosa”. (capitolo “Io, ilBianco”)
Ti imbatti in una descrizione simile, e cosa fai? Riempi una borraccia d’acqua, prendi un cappello di paglia a tese larghe, indossi un vestito lungo di lino bianco e ti metti in viaggio…
Eppure non è stata “solo” la stupefacente natura – a volte arida, altre sfavillante – a rapirmi. C’è tutta una storia di cui, tranne che per specifici avvenimenti, non ho mai sentito parlare. Storia che non ho mai studiato, non ho mai saputo. Parola dopo parola il libro ha generato un ipertesto affascinante. Cellulare alla mano, non mi sono trattenuta dal googlare nomi di personaggi, città, alberi, date. Mi sono “spostata” dalla tratta degli schiavi iniziata a metà del XV secolo fino allo schiavismo “autoctono” della Liberia (dove nel 1821 le navi iniziarono a portare dagli Usa contingenti di schiavi liberati che diventarono a loro volta schiavisti), dai colpi di stato alle imboscate guidate da gruppi di ragazzini armati, accaniti e cruenti, passando attraverso la magia, la sofferenza di chi si nutre di sola acqua e gioisce per un pugno di riso, fino alle leggende tramandate di bocca in bocca al riparo ombroso di un maestoso albero di mango in un villaggio della provincia etiopica di Wollega, non lontano dal Nilo azzurro. Ho scoperto che le madri africane, ogni volta che un bambino fa una birichinata, lo sgridano dicendo: “Se non fai il bravo viene lo mzungu che ti mangia!” e che mzungu, in lingua swahili, significa il Bianco, l’europeo. R.K. mi ha condotta con sé e mi ha lasciata, incantata, a guardare il sole che sorge e ad ammirare i suoi raggi che si riflettono nell’acqua dei recipienti: “L’acqua palpita, oscilla e luccica come argento vivo”. Lo stesso sole che, altre volte, “coagula il sangue, paralizza, tramortisce”. L’Africa “è un coacervo delle più svariate, più diverse e più contrastanti situazioni” scrive Ryszard Kapuściński. E io lo ringrazio per aver lasciato una testimonianza così unica e preziosa in questo splendido (e denso) libro.
“Questo libro non parla dell’Africa, ma di alcune persone che vi abitano e chi vi ho incontrato, del tempo che abbiamo trascorso insieme. L’Africa è un continente troppo grande per poterlo descrivere. E’ un oceano, un pianeta a sé stante, un cosmo vario e ricchissimo. E’ solo per semplificare e per pura comodità che lo chiamaiamo Africa. A parte la sua denominazione geografica, in realtà l’Africa non esiste”.
Se quel continente vi affascina, incuriosisce e anche intimorisce, se volete assaporare la scrittura sublime (definita anche etica e ammaliante) di questo straordinario giornalista polacco che ci ha regalato reportage unici e che è scomparso nel 2007, leggete Ebano.
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