Lettera a mia madre (ché c’è stato un altro tempo, prima del Coronavirus)

Mamma, mi manchi. Non è una novità, lo so. Voglio dirti grazie (quando mai finirò di farlo?). Grazie perché, anche questa volta, hai fatto qualcosa per me, per alleviare le mie paure, le mie ansie. E’ già passato un anno da che te ne sei andata,  tu solo sai quanto strazio mi porto dentro.

Il 25 febbraio 2020 è stata la ricorrenza del tuo addio ed è stata l’ultima volta che son venuta a trovarti al cimitero. Chissà le primule come saranno appassite… Sarei tornata a farti visita la settimana dopo se l’Italia (il  mondo intero, in realtà)  non fosse stata travolta dall’aggressività del Covid-19.  Tu lo sai che non ho avuto scelta: la prima febbre, il mal di gola, il malessere. “Resta a casa, curati!”, mi avresti detto.

Nel frattempo, come in un in black out, tutta la città si è “spenta”. Ora ognuno è rinchiuso nelle sue case, sospeso in un tempo inafferrabile che tuttavia non risparmia preoccupazioni. E che preoccupazioni. Ecco perché ti ringrazio. Mi rendo conto possa suonare lugubre ai più,  questo mio ringraziamento. Ma a me importa che tu lo comprenda, e so che lo farai.

Grazie, mamma. Perché se dovevi scegliere un momento per uscire di scena, hai scelto il momento giusto. Lo hai fatto per altri motivi che solo io e te sappiamo, ce lo siamo bisbigliate quella domenica notte, prima del tuo addio. Nonostante la mancanza della tua voce, del tuo sorriso e del tuo amore, mi destabilizzi quotidianamente come  una vertigine, ti ringrazio per esserti congedata quel giorno di un anno fa. Perché oggi, in questa situazione, non avrei sopportato lo strazio di un addio senza nemmeno poterti sfiorare una mano.

Questo è ciò che sarebbe accaduto se tu, fragile com’eri, ti fossi trovata ad affrontare questa emergenza inimmaginabile e crudele. Una segregazione forzata che tiene lontani i figli dai genitori anziani e che, quand’anche permetta loro di vederli in condizioni di necessità, non consente la condivisione, l’abbraccio e l’assistenza continua di cui tu avresti avuto bisogno (ed io con te). Solo tu, mamma, puoi sapere il macigno che avrei avuto sul cuore e solo tu sai il peso che, a sua volta, avrebbe affaticato il tuo di cuore, con la preoccupazione per quel mio senso d’impotenza. Sono sopravvissuta alla tua scomparsa, anche se non passa giorno in cui, anche solo per una frazione di secondo, sento di volermi sollevare in alto verso te, fino a raggiungerti, perché da sola non ce la posso fare. Ma è solo una debolezza umana, suppongo.

Una debolezza che riesco a gestire cullandomi in quelle ore tutte nostre, quando sul letto della Rianimazione, all’inizio del tuo sonno eterno, abbiamo parlato di noi, del mare e dei sogni e non abbiamo smesso nemmeno in quelle ore fredde che dalla camera ardente ci hanno condotto all’ultimo saluto. I tuoi occhi erano chiusi, certo. Eppure sono certa che il tuo cuore mi abbia ascoltata.  Ho avuto il dono di potermi confessare a te, di potermi scusare, di poterti parlare, abbracciare, baciare. Ciò nonostante è quotidiano il peso dei sensi di colpa che mi trascino dietro…quale figlio ne è immune?! Ma se penso a quanto tutto ciò avrebbe potuto aggravarsi di pena e d’impotenza se fosse accaduto oggi, provo un senso di sollievo.

Per questo ti ringrazio, mamma. Perché hai saputo, anche in una situazione inverosimile come quella che stiamo attraversando, restarmi accanto. La tua assenza, provvidenzialmente è diventata presenza. Se non avessi potuto dirti addio, se non avessi potuto stringere le tue guance tra le mie mani per un’ultima volta ancora, se non avessi potuto metterti quelle due gocce di profumo che ti piaceva tanto, se la sepoltura fosse avvenuta in quella solitudine che necessariamente impone questa dannata emergenza sanitaria, il mio cuore si sarebbe squarciato. Terribile è il dolore che molti figli stanno provando in queste giornate, impossibilitati a muoversi. Ostaggi del Coronavirus. Lontani dai loro cari, dalla loro sofferenza, dalla loro solitudine. Padri e madri che si spengono come una candela al vento, nella tempesta. Come vorrei abbracciarli tutti: genitori, figli, nipoti. E poter dar loro una carezza di conforto…

Un flagello che tu, mamma, mi ha risparmiato.

 Paola

Informazioni su Paola Buizza (LaBui)

Giornalista con un futuro sempre in discussione e un passato costruito sull'istinto. Una vita geograficamente collocata oltre gli schemi e gli stereotipi. Una donna che cade, soffre, si rialza e cammina. A volte, vola. Questo blog, comunque, non rappresenta una testata giornalistica in quanto non viene aggiornato con cadenza periodica né è da considerarsi un mezzo di informazione o un prodotto editoriale ai sensi della legge n.62/2001
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