Che “Futura” ci aspetta se non insegniamo a coltivare i sogni ai nostri giovani?

Una ragazzina di 18 anni, in visita ad una fiera su futuro, ambiente e sostenibilità, entra con un sogno ed esce con un dilemma: “Vorrei fare la ballerina, ma ora mi trovo a un bivio. Forse dovrei scegliere un lavoro che mi dia la sicurezza economica”. No, tesoro. Scegli ciò che può renderti felice.

Se lo puoi sognare, lo puoi fare

Ricordo bene i miei sogni da bambina. Tre cose avrei voluto fare, nella vita: l’attrice, la viaggiatrice, la giornalista. Sul primo sogno, non mi sono mai realmente impegnata. Il secondo, per qualche tempo, l’ho anche toccato. Il terzo, si è realizzato. Tre sogni, ma mai ho pensato che avrei voluto diventare ricca. Indipendente, quello sì. Volevo realizzarmi al più presto nel lavoro, per non dipendere da nessuno. Ma l’obiettivo era il sogno, la passione.

A quel tempo allontanavo gli adulti che avrebbero voluto per me un lavoro “sicuro”, uno di quelli “senza grilli per la testa”, uno di quei lavori che già allora mi toglievano il fiato al solo pensiero. Se uno, o una, di quegli adulti mi faceva la ramanzina, mi chiudevo a riccio per sempre. Ho avuto la fortuna di avere una madre tale e quale a me. Una donna che metteva la propria indipendenza, economica e mentale, al di sopra di tutto. Che credeva nei sogni e che mi ha insegnato a coltivarli. Sono cresciuta con i nonni materni, siciliani, rigidi, concreti. Ma leggevano la mia irrequietezza e avevano trovato il modo di tagliare corto: quando avrai 18 anni, dicevano, potrai fare quello che vorrai.

Per questo mi irrigidisco ogni volta che, in un discorso, sento parlare di successo, denaro, potere come se queste fossero le uniche ambizioni accettabili in un mondo che è sì proiettato verso il futuro, ma ciecamente. Pensavo che le cose fossero cambiate, pensavo che le arti stessero guadagnando, nel pensiero comune e diffuso, il giusto valore che meritano. Pensavo che giovani appassionati di musica, danza, recitazione, pittura, scultura e qualsiasi altra espressione artistica, fossero liberi di inseguire i propri sogni senza giudizi o pregiudizi, senza freni. Tanto più che oggi, rispetto a trenta o quarant’anni fa, c’è la possibilità di studiare con più facilità, di viaggiare e connettersi, non solo virtualmente, ma con il mondo intero. Invece no.

Invece no, le cose non sono poi tanto cambiate se mi sento dire da una ragazza di 18 anni che lei vorrebbe cantare, danzare, ma che ora si trova davanti a un bivio perché, forse, è meglio che pensi a una professione che le dia la solidità economica. Dov’è che le sue convinzioni hanno vacillato? A Futura Expo, la manifestazione dedicata alla “visione del futuro in cui Uomo, Ambiente ed Economia possano convivere in armonia”.

Che c’entra il discorso che sto facendo con l’ambiente e la sostenibilità? Apparentemente poco, nella sostanza molto. Perché quella ragazza non è stata l’unica ad uscire da lì con le idee confuse. Ce n’è una seconda. Una ragazza che non sa esattamente cosa vorrà fare nella vita e che è in cerca di ispirazioni. Che confidava di capire qualcosa di ambiente, sostenibilità, impresa e futuro ma che ha recepito solo un messaggio: l’importanza del denaro. E non me l’ha riferito con la spocchia tipica di tanti giovani, ma con una delusione sincera. “Mi aspettavo qualcosa di diverso, invece tutti che parlavano di quanto erano stati bravi a costruire la loro impresa, la sicurezza economica, come se quella fosse l’unico obiettivo che conta”. Io, zitta. In ascolto.

Non ci sono stata alla fiera, non posso esprimere giudizi da esperienza diretta. E sono certa che ci siano state occasioni di confronto interessanti, sguardi proiettati al futuro e a un mondo migliore. Ho solo il dubbio che alcune conferenze scelte per gli studenti e le studentesse degli istituti superiori abbiano semplicemente mancato il bersaglio. Quale fosse, questo bersaglio, faccio fatica a capirlo.

Mi piange il cuore sapere che una ragazza è entrata con un sogno ed è uscita con un dilemma. Vorrei fosse entrata con un sogno e fosse uscita con la grinta per inseguirlo. Vorrei che non si insegnasse più ai giovani che il lavoro è Lavoro solo quando è fatica, solo quando fa gonfiare il conto il banca. Ma che il lavoro è una scelta consapevole nel rispetto delle proprie aspirazioni, qualcosa a cui ti dedicherai per la maggior parte della tua vita, o anche tutta. E che più lo amerai più sopporterai le fatiche, le notti insonni.

Vorrei insegnassimo ai giovani che “cadere” non significa fallire, ma costruire: esperienza, consapevolezza, umiltà. Vorrei dessimo loro gli strumenti per capire che non è necessario avere le idee chiare oggi, a 18 anni. E che la vita è una corrente che è bello assecondare, ogni tanto. Che magari non farai mai la ballerina, la cantante, l’attrice, la pittrice ma potresti comunque lavorare in quel mondo, perché ci sono tante altre infinite e bellissime professioni che si creano, anno dopo anno. E che se non ci riuscirai, verrai a patto con le tue aspirazioni, ma almeno ci avrai provato. Che non necessariamente si muore di fame se non si diventa manager o imprenditori di successo, ma che l’importante è lavorare per qualcosa che abbia senso per te, per il tuo cuore e la tua testa.

Vorrei che il “brain washing” (lavaggio del cervello) fosse equiparato, per gravità, al “greenwashing” (l’ecologismo che è solo facciata) e che provassimo gioia per poco, piuttosto che frustrazione per il troppo.  

Informazioni su Paola Buizza (LaBui)

Giornalista con un futuro sempre in discussione e un passato costruito sull'istinto. Una vita geograficamente collocata oltre gli schemi e gli stereotipi. Una donna che cade, soffre, si rialza e cammina. A volte, vola. Questo blog, comunque, non rappresenta una testata giornalistica in quanto non viene aggiornato con cadenza periodica né è da considerarsi un mezzo di informazione o un prodotto editoriale ai sensi della legge n.62/2001
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