Un ricordo, un saluto, un ringraziamento

Eleonora Cantamessa

Eleonora Cantamessa

Una donna che sosteneva i miei sogni e che smorzava la forza delle mie paure.
Era questo Eleonora Cantamessa. Una dottoressa preparata, presente, combattiva, determinata e lucida.
Ho appreso della sua morte da internet. Lunedì mattina, appena sveglia, ho acceso il computer per collegarmi al mondo, a quello che era accaduto nelle mie ore di sonno.
Ancor prima di leggere il nome della vittima di un assurdo assassinio (perché non posso chiamarlo, semplicemente, “incidente”) le forze hanno iniziato a mancarmi.
Immobile, in apnea, sospesa in quel limbo in cui ti scaraventano certe notizie che entrano violentemente nella tua quotidianità toccando persone che conosci, le lacrime hanno iniziato a sgorgare, calde e salate, dai miei occhi.
E la scena di quella notte, con Eleonora piegata sull’uomo in fin di vita, intenta ad aiutarlo, è apparsa nitida nella mia mente tanto da sentirne la voce, il suo tono. Tanto da seguirne le movenze e le linee del volto.
Perché Eleonora era così. Eleonora c’era, sempre. Combattiva.
Una dottoressa che ti insegnava a non aver paura degli imprevisti della vita.
Eppure il suo carattere forte non respingeva. Non la rendeva irraggiungibile. Eleonora era disponibile anche se in vacanza, anche se non in turno.
Ora, improvvisamente, tutti parlano di lei. Eleonora, eroe di tante anonime quotidianità, è diventata simbolo di solidarietà umana.

Quella solidarietà che lei aveva sottolineato, pochi giorni prima di morire, commentando sui social network il gesto di un camionista romeno che, mettendosi di traverso in autostrada con il suo tir, aveva messo in sicurezza una bimba coinvolta in un incidente stradale e scaraventata sull’asfalto.
“Mi è venuto naturale fare la manovra”, aveva commentato l’uomo.

Sono certa che con naturalezza, una disarmante naturalezza, Eleonora si sia fermata, quella notte, per prestare soccorso all’uomo indiano ferito in una rissa.
“Il problema delle menti chiuse è che hanno sempre la bocca aperta”, recita una frase che Eleonora aveva pubblicato sulla sua pagina di Facebook. Non so quali parole userebbe, oggi, per definire i commenti di intolleranza verso gli stranieri apparsi dopo l’arresto dell’indiano che, con l’auto, si è fiondato senza pietà su di lei e il ferito.
La migliore risposta l’ha data sempre con il suo agire, come testimoniano le persone che la conoscevano bene.
Fa male vedere ogni giorno il suo sorriso e ripercorrere quelle ore che l’hanno strappata via alla sua e alle nostre vite.
Fa tristezza sapere che non potrò più rivederla.
Fa del bene, invece, apprendere quanto fosse generosa; constatare che quella indole che le riconoscevo era reale.
Sapere che i fiori, le fiaccole, i pensieri, le parole e i riconoscimenti a lei rivolti siano assolutamente fondati.
Vedere l’affetto di Brescia, dei colleghi e dei pazienti di Eleonora «è un grande sollievo,
perché vedevo mia figlia tanto dolce, tanto tenera
– ha dichiarato la madre della dottoressa -. E scoprire questa forza che ha avuto in questo gesto, la tanta ammirazione di cui godeva qua mi stupisce e mi conforta, mi stordisce quasi»

Ciao Eleonora e grazie.

Informazioni su Paola Buizza (LaBui)

Giornalista con un futuro sempre in discussione e un passato costruito sull'istinto. Una vita geograficamente collocata oltre gli schemi e gli stereotipi. Una donna che cade, soffre, si rialza e cammina. A volte, vola. Questo blog, comunque, non rappresenta una testata giornalistica in quanto non viene aggiornato con cadenza periodica né è da considerarsi un mezzo di informazione o un prodotto editoriale ai sensi della legge n.62/2001
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