L’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia (leggi: Biennale) è un mare sconfinato di emozioni, non sempre gradevoli, lo ammetto. Ma a ogni passo, a ogni pausa, in ogni angolo, cresci un po’ come essere umano. Penso non accada a tutti, ovviamente.
Bisogna saper stare nel ventre della balena, compiere, come spiegava George Orwell in un suo noto saggio, l’atto di Giona: farsi inghiottire restando passivo, accettando. E in quel ventre io ci torno sempre volentieri, con un entusiasmo e un’euforia spiazzanti, quasi fossi una bambina sulle giostre di Gardaland. Mi affascina, la Biennale. E mi fa sentire completamente al centro di un mondo multietnico e multiculturale senza barriere, giudizi e pregiudizi.
Ci sguazzo e, a volte, mi lascio trascinare a fondo. Negli abissi di linguaggi che non comprendo, di ovvietà che ingannano, di truculente o scandalose immagini che mi ripugnano. Stanze buie nelle quali accedi a tentoni, con una mano a cercare la conferma di una parete d’appoggio e dalle quali esci spogliato di corazze, con occhi su fatti che fino a ieri non avevi visto, ma solo guardato. Squarci di luce su convinzioni improvvisamente recise, abbracci di suoni che cullano l’esistenza di esseri ingrati e crudeli. Parole sussurrate, disegnate, illuminate o solo accennate per scuotere, risvegliare.
Tra la bellezza dei Giardini e l’imponenza dell’Arsenale, abbagliati da una Venezia incantevole, il respiro si fa ampio e salvifico. Non ci sono padiglioni da consigliare, opere verso cui indirizzare. Da elogiare o denigrare.
La Biennale è un fine lavoro sartoriale e, come tale, ti cuce addosso sensazioni uniche, irripetibili. Autentiche. Stimola i sensi e gioca con la tua storia personale. Ti scompone come una folata di vento. Ti spaventa, come un boato. Ti disturba, come un tanfo. Ti annoia. Ti sveglia. Ti inquieta. Ti cattura.
Si annida nella mente per poi riaffiorare, nel tempo, sotto forma di ricordi, sensazioni, profumi. Amata, odiata, elogiata o discussa. Ma esperienza conoscitiva e, come tale, arte. E’ la Biennale, bellezza. E tu non ci puoi fare niente. Niente.
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