Quest’anno quale Natale?
Una preoccupazione dilagante, travolgente e trasversale. Ormai tutti, o quasi, siamo nella condizione di conoscere una o più persone senza lavoro, a rischio, in cassa integrazione, in mobilità o “semplicemente” licenziate. Lo spettro, a volte, è nelle nostre stesse case, una volta sicure e solide. E sconvolge apprendere come, ormai, poco o nulla conti la persona, il lavoratore. Uomini e donne, dopo aver dedicato anni all’azienda, alla sua crescita, diventano improvvisamente capro espiatorio di una crisi che colpisce, sì, ma che offre anche gustosi alibi a chi vuole mantenere certi privilegi e non rinunciare ai dividendi, a chi occupa posti di rilievo senza averne le competenze e che, proprio per questo, ha trascinato tutti nel baratro. Il ben servito colpisce senza guardare in faccia. Non importa se non riuscirai a reinserirti nel mondo del lavoro, se ti mancano pochi anni alla pensione, se sei l’unica entrata della famiglia, se sei solo e nessuno può aiutarti. Non importa se hai dedicato 20 anni o più all’azienda, la tua esperienza non conta, non serve. Costa. Questo basta a farti fuori. Intanto, il lavoro, si imposta su nuovi parametri: lavorare le stesse ore e prendere meno, perché devi rinunciare a scatti o integrativi che, negli anni, avevi ottenuto; lavorare più ore e prendere uguale, perché gli straordinari sono scomparsi. Lavorare, se va bene, se te lo lasciano ancora fare, senza osare lamentarti, perché è già un privilegio.
E’ questo il Natale 2013. Babbo Natale è scomparso, al suo posto è arrivato NAbabbo Natale con un sacco pieno di doni per lui e i suoi cari, gelosamente custodito, e tante letterine per il “popolaccio”: missive di licenziamento. Tempismo perfetto, ineccepibile, moralmente apprezzabile. C’è solo da sperare che da qualche parte, in un tempo non troppo lontano, giustizia prevalga.
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